Come le Piante Sono Diventate Carnivore

Le piante carnivore sono nel regno vegetale quelle che più di tutte ci affascinano. Siamo portati a vedere le piante come un elemento poco più che scenografico, al massimo utile come fonte di cibo. Il fascino e la meraviglia che le piante carnivore suscitano in noi sta proprio nella loro capacità di ribaltare questa concezione: le piante carnivore non sono passive, ma giocano un ruolo attivo, di predatrici. Questa loro caratteristica insolita ha affascinato anche Charles Darwin, che nel 1875 alle piante carnivore ha dedicato un intero libro, Insectivorous Plants.
La “carnivoria” è un adattamento che si è sviluppato per rispondere alle necessità delle piante di crescere in terreni poveri di nutrienti. Se la terra su cui cresci non contiene abbastanza azoto, fosforo e minerali, e se tu, pianta, non sei in grado di muoverti, l’unica scelta che ti rimane per sopravvivere è fare in modo che qualcuno si occupi di portarti il nutrimento di cui hai bisogno. E se questo qualcuno -di solito un insetto- è lui stesso ricco delle sostanze che ti servono, allora una strategia efficace è quella di attirarlo con l’inganno e poi mangiarlo.

Sono circa 600 le specie vegetali che hanno sviluppato quella che da alcuni viene definita “sindrome carnivora”. Per essere un efficace predatore servono contemporaneamente una serie di caratteristiche che da sole sarebbero insufficienti. Per prima cosa bisogna attirare le prede con particolari forme, colori e odori; poi le prede vanno trattenute e intrappolate perché non scappino; e per finire bisogna ucciderle, digerirle e assorbirne i nutrienti. L’insieme di queste caratteristiche è comparso indipendentemente almeno nove volte nel corso dell’evoluzione, in un fenomeno che i biologi chiamano evoluzione convergente.

Venere acchiappamosche Dionaea muscipula
Dionaea muscipula – Venere acchiappamosche. Le sue tagliole scattano quando almeno due dei tre peli-sensori (visibili nella parte interna della trappola) vengono toccati nell’arco di 40 secondi. Si evita così che la trappola si chiuda in seguito a falsi allarmi. Flickr, CC BY 2.0

 

Drosera capensis
Drosera capensis. Le goccioline presenti sulla punta dei tentacoli hanno la triplice funzione di attirare gli insetti, intrappolarli e digerirli. Flickr, CC BY-NC 2.0

L’attrazione delle prede avviene di solito con nettare dolce o con colori bruni-rossi che, insieme a fragranze che ricordano la carne in decomposizione, rendono le carnivore irresistibili per molti insetti. Nel meccanismo di funzionamento delle trappole c’è più variabilità: alcune sono adesive, come nella Drosera e nella Pinguicola; altre sono a scatto come nella Venere acchiappamosche, Dionaea muscipula; altre ancora sono a caduta. Anche in questo caso, però, strutture incredibilmente simili si sono sviluppate in specie evolutivamente distanti. Ne sono un esempio le strategia a carta moschicida evolutasi indipendentemente almeno cinque volte, così come gli ascidi pieni di liquidi digestivi che si trovano nelle Sarracenia americane e nei Cephalotus australiani (foto di copertina).

napenthes
Nepenthes. Flickr, CC BY-NC-ND 2.0

 

Sarracenia
SarraceniaWikipedia CommonsCC BY-SA 3.0

Una recente ricerca pubblicata su Nature ecology & evolution dimostra che alle somiglianze morfologiche corrispondono forti analogie a livello genetico e molecolare. Confrontando l’attività dei geni nelle foglie carnivore e in quelle non-carnivore all’interno della stessa pianta di Cephalotus, sono stati identificati diversi dei meccanismi necessari alla trasformazione in senso carnivoro. Per esempio, tra i geni che sono più attivi nelle foglie-trappola si trovano quelli coinvolti nella produzione del nettare, nella determinazione di forme complesse della foglia, e nella sintesi della cera che rende scivolose le pareti delle trappole. Analizzando i liquidi digestivi di piante carnivore provenienti da famiglie vegetali diverse, si è scoperto che sono sorprendentemente simili: il mix di enzimi digestivi era quasi identico e in tutti i casi i geni coinvolti sono stati presi in prestito dai meccanismi di difesa comuni in tutte le piante. Per esempio, per difendersi dall’attacco dei funghi, le piante producono enzimi in grado di degradare la chitina di cui è fatta la parete cellulare dei parassiti. Sembra che le piante carnivore, anziché sviluppare da zero una nuova strategia di digestione, abbiano cooptato le proteine già esistenti e le abbiano modificate per utilizzarle per digerire dell’esoscheletro degli insetti, anche questo fatto di chitina.

Il caso delle piante carnivore ci mostra come, a partire da gruppi vegetali separati da milioni di anni di evoluzione, si siano sviluppate indipendentemente specie con adattamenti morfologici e fisiologici molto simili, tutti volti a dare una risposta alla mancanza di nutrienti tramite la carnivoria. Il numero di possibilità per risolvere il problema si trovavano ad affrontare non era infinito, perché condizionato dai limiti del materiale genetico disponibile in partenza. Il fatto però che piante molto diverse tra loro siano giunte alla stessa soluzione fa riflettere sul fatto che la via scelta sia probabilmente la migliore tra quelle possibili.


Fonti e letture:ResearchBlogging.org
– Fukushima K., Fang X. et al. (2017). Genome of the pitcher plant Cephalotus reveals genetic changes associated with carnivory Nature Ecology & Evolution, 1 (3) DOI: 10.1038/s41559-016-0059
– Ellison AM, & Gotelli NJ. (2009) Energetics and the evolution of carnivorous plants–Darwin’s ‘most wonderful plants in the world’. Journal of experimental botany, 60(1), 19-42. PMID: 19213724
– Albert V. (1992) Carnivorous plants: phylogeny and structural evolution. Science, 257(5076), 1491-1495. DOI: 10.1126/science.1523408
– Mithöfer A. (2017) Plant carnivory: Pitching to the same target. Nature plants, 3(2), 17003. DOI: 10.1038/nplants.2017.3

– Non perdetevi questo video realizzato per National Geographic: Eerie time-lapse of bug-eating plants

Copertina: Cephalotus follicularis, FlickrCC BY-NC 2.0

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