Mangrovie: Carbonio Blu Tropicale
I cambiamenti climatici in corso sul nostro pianeta sono una delle più grandi sfide che l’umanità si trova ad affrontare in epoca moderna. La grande maggioranza degli scienziati concorda sul fatto che la causa primaria del surriscaldamento globale sia l’emissione dei gas serra che, proprio come i vetri di una serra, lasciano passare la radiazione proveniente dal sole ma trattengono quella riflessa dalla terra, provocandone un lento ma costante riscaldamento. Alcuni di questi famigerati gas sono naturalmente presenti nell’atmosfera, mentre altri sono prodotti esclusivamente dalle attività umane. In ogni caso, a partire dalla rivoluzione industriale, la loro concentrazione nell’aria è aumentata in maniera vertiginosa. L’anidride carbonica e il metano sono due tra i principali gas serra, ed entrambi sono piccole molecole che contengono atomi di carbonio. Per questo motivo, da molti anni ormai si cercano di comprendere i meccanismi capaci di immettere o rimuovere carbonio dall’atmosfera e modificarne la concentrazione.
I gas serra e le polveri prodotte dalla combustione dei combustibili fossili agiscono in maniera negativa su questo bilancio perché rimuovono il carbonio dall’ambiente e lo rilasciano nell’aria. Queste frazioni del carbonio presente sulla terra vengono definite come carbonio marrone e carbonio nero, rispettivamente. Il carbonio verde, è invece la frazione che agisce positivamente sul bilancio globale del carbonio perché rappresenta quello che le piante riescono a rimuovere dall’atmosfera tramite il processo di fotosintesi. L’anidride carbonica assorbita dalla piante viene convertita in biomassa, che rappresenta un serbatoio per il sequestro del carbonio a lungo termine. Molta attenzione è oggi rivolta alla necessità di proteggere gli ecosistemi terrestri in grado di funzionare da accumulatori di carbonio, e nel corso di questi studi è emerso che, al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare, più della metà del carbonio verde non è catturato dalle piante che crescono nei boschi e nelle foreste ma bensì dagli organismi che fanno parte degli ambienti marini e costieri. Per questo motivo, questa frazione di carbonio fondamentale nel bilancio globale viene definita carbonio blu.

Le foreste di mangrovie, insieme alle praterie di posidonia, le paludi salmastre e le barriere coralline, sono uno dei i principali biomi costieri in grado di accumulare carbonio e rimuoverlo dall’atmosfera. Le mangrovie formano un raro e delicato ecosistema in aree tropicali e subtropicali (qui una mappa di National Geographic), e occupano una superficie totale di circa 160,000 chilometri quadrati in tutto il pianeta. Si stima che fino a qualche decennio fa costituissero il 75% delle coste tropicali, ma la pressione esercitata dall’uomo ha ridotto la loro estensione originaria di più della metà. La scomparsa delle mangrovie è da imputare al loro sfruttamento per la produzione di legname, alla conversione delle aree per l’acquacoltura, all’inquinamento, alla costruzione di dighe e alla deviazione del corso dei fiumi.
Si tratta di un bioma caratteristico delle regioni intertidali -di marea- in cui le specie vegetali dei generi Rizophora (mangrovia rossa), Laguncularia (mangrovia bianca), e Avicennia (mangrovia nera) hanno sviluppato importanti adattamenti evolutivi che le rendono capaci di sopravvivere anche quando sono sommerse da acqua salata e povera di ossigeno. Per favorire il proprio successo riproduttivo in un ambiente ostile, alcune specie (tra cui la mangrovia rossa) sono diventate vivipare; i semi non si distaccano dalla pianta madre fino a che non sono germinati e i propaguli così generati sono già in grado di produrre il proprio nutrimento tramite la fotosintesi. Un altro adattamento caratteristico delle mangrovie è la produzione di pneumatofori, particolari strutture tubulari connesse alle radici che crescono verso l’alto per raggiungere l’aria e consentire all’ossigeno di giungere fino all’apparato radicale sommerso. Le specializzazioni che consentono a queste specie di sopravvivere in un ambiente così particolare, fanno però delle mangrovie un tipo di foresta particolarmente suscettibile a cambiamenti ambientali come le brusche variazioni di salinità dell’acqua causate dalla costruzione di dighe.
Parte del carbonio che si accumula nelle foreste di mangrovie viene sequestrato dall’aria e direttamente convertito in biomassa, con importanti effetti sul bilancio globale a breve termine. Un’altra parte del carbonio accumulato (sia di origine locale che trasportato dalle correnti) viene invece incorporato nei sedimenti dove è immagazzinato per lunghi periodi di tempo e remineralizzato. Infatti, le mangrovie rappresentano uno degli ambienti con il più alto tasso di accumulo di carbonio: circa 8 chili accumulati per metro quadrato, più di quanto ne vanga accumulato, a parità di superficie, da ogni altro tipo di ecosistema (fatta eccezione per le foreste tropicali). Non basta quindi proteggere le foreste di mangrovie affinché non perdano la capacità di accumulare carbonio, ma è importante far sì che quello già accumulato venga trattenuto per evitare che i siti di accumulo si trasformino in fonti emissione.

Se la bellezza, l’unicità, il valore intrinseco e l’importanza delle foreste di mangrovie nel ciclo del carbonio non dovessero bastare a convincerci a proteggerle, pensiamo allora a tutti gli altri servizi ambientali che le mangrovie forniscono: sono un bioma ricco di biodiversità che ospita una grade varietà di pesci, crostacei, uccelli, rettili e mammiferi, tra cui la tigre del Bengala (Panthera tigris tigris) e il delfino dell’Irawaddy (Orcaella brevisrostris), entrambe specie minacciate che vivono nella foresta del Sundarbans tra Bangladesh e India; formano una barriera costiera naturale che smorza l’azione delle onde e protegge i litorali dall’erosione (così); difendono le vulnerabili comunità costiere dalle mareggiate e provvedono alla loro sussistenza servendo da vivai per moltissime specie di pesci e crostacei alla base della loro alimentazione; fungono da filtri e ‘reattori’ per i nutrienti che raggiungono il mare con le acque reflue e mitigano l’inquinamento delle zone costiere permettendo così, ad esempio, l’esistenza delle barriere coralline. Potrebbe bastare?

Fonti e letture:
– D. d’A Laffoley, G. Grimsditch. The management of natural coastal carbon sinks. IUCN, Gland, Switzerland. 2009
– The world’s mangroves 1980-2005. FAO Forestry Paper 153. FAO, Rome, Italy. 2007
– Mangrove Action Project website
Foto di Alice Breda
Copertina: Wikimedia Commons – CC BY-SA 4.0
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