Da Dove Viene la Gomma?
Guidare una macchina, cancellare un disegno a matita, tenere i piedi all’asciutto quando piove, proteggersi dalle malattie veneree. Se oggi possiamo fare queste cose nel modo che conosciamo, è anche grazie ad una pianta e ai suoi meccanismi di difesa. Si chiama Hevea brasiliensis, o Pará, ma è più facile averne sentito parlare come albero della gomma. Molti pensano che la gomma sia un prodotto di sintesi, ma quasi la metà di quella in uso nel mondo non è ottenuta dal petrolio ma da questo albero tropicale originario delle foreste del Brasile. Per millenni, le civiltà precolombiane hanno usato la gomma per produrre sandali e i palloni che usavano durante il loro rituale Gioco della palla. Poi, come racconta Oliver Sacks nel suo Diario di Oaxaca, quando gli spagnoli arrivarono nelle Americhe «rimasero sbalorditi alla vista della prima palla di gomma: “Quando toccano terra rimbalzano in aria a grande velocità” scriveva un attonito esploratore del sedicesimo secolo. Alcuni esploratori pensarono che la palla fosse viva; una tale elasticità, una tale capacità di rimbalzo non s’erano mai viste nel Vecchio Mondo». Da allora, le varietà di impieghi che questo materiale ha trovato hanno raggiunto livelli tali che nemmeno il più illuminato degli stregoni Maya avrebbe potuto prevedere.

Gli europei iniziarono a intuire le potenzialità della gomma solo nel Settecento, ma verso la fine del secolo successivo la richiesta di questo materiale non era soddisfatta dalla raccolta che veniva fatta nel solo Sud America. La ricerca di nuovi territori da coltivare a gomma fu condotta dagli inglesi e, come è accaduto altre volte nella storia, il viaggio che portò alcuni esemplari di albero della gomma dalle foreste tropicali americane a quelle del Sud-Est asiatico passò dai giardini botanici britannici. Un fungo patogeno che causa la ruggine fogliare sudamericana ha poi impedito la coltivazione della gomma nel Nuovo Mondo, e così la produzione oggi si concentra in Asia, dove Tailandia, Malesia e Indonesia da sole superano i due terzi della produzione mondiale.
Anche se i processi di lavorazione sono molto cambiati dai tempi dei Maya, la raccolta della gomma dall’albero è ancora fatta con il metodo tradizionale del rubber tapping o spillatura. Sottili strati di corteccia sono rimossi dell’albero seguendo un percorso a spirale attorno al tronco (così), che in risposta alla ferita inizia a essudare un liquido biancastro e colloso, il lattice. Oltre all’albero della gomma, sono circa duemila le specie vegetali che producono lattice per difendersi. Tra queste il tarassaco, il chicle (Manilkara), il Ficus elastica, la gomma del Congo (Landolphia) e alcune specie di Euphorbia, ma nessuna produce un lattice tanto facile da raccogliere e da lavorare come quello dell’Hevea.

Dal punto di vista dell’albero, il lattice ha la funzione di proteggerlo dagli erbivori; il suo contenuto di sostanze tossiche fino a mille volte più alto rispetto alle altre parti della pianta, sommato alla sua capacità di coagulare per cicatrizzare la ferita e bloccare gli apparati masticatori degli insetti, rende l’albero che lo produce un pasto tutt’altro che appetibile. Se per la pianta queste sostanze tossiche e le proteine coagulanti (eveine, dal nome della specie) hanno un fondamentale ruolo di difesa, per noi hanno il solo effetto di provocare reazioni avverse nelle persone allergiche al lattice. Il composto contenuto nel lattice che invece ci interessa per la produzione della gomma è quello che i chimici chiamano poliisoprene. Questa è una lunghissima molecola che durante la coagulazione forma con le sue simili un intricato groviglio che dona elasticità alla gomma.
Quando viene tirata, le molecole si distendono, e quando viene rilasciata ritornano al loro stato disordinato iniziale. Il fatto che le varie molecole non siano legate tra loro, rende però questo materiale deformabile, sensibile al calore e fragile al freddo, caratteristiche poco desiderabili per un suo utilizzo industriale. Una soluzione venne in mente all’americano Charles Goodyear (sì, quello che ha dato al nome al colosso statunitense degli pneumatici), il quale scoprì un trattamento a base di zolfo e calore che rendeva la gomma naturale molto più resistente. Questo procedimento è chiamato vulcanizzazione in onore di Vulcano, dio romano del fuoco, e fa sì che tra le lunghe catene di poliisoprene si formino dei ponti, o cross-link, che le fissano una all’atra rendendo il materiale più elastico e meno deformabile.

La scoperta di Goodyear ha aperto le porte all’utilizzo industriale della gomma e, oggi, buona parte di quella che viene prodotta è utilizzata nella produzione di pneumatici (per farne uno occorre il lattice estratto da quattro alberi per un mese). Il numero di automobili in circolazione è in costante aumento, e così la domanda di questo materiale. Quando il ricco mercato automobilistico ha iniziato a mancare di materie prime, si è scatenata una “corsa alla gomma” che nei paesi del Sud-Est asiatico ha portato prima alla conversione delle aree agricole e poi all’abbattimento di 46mila chilometri quadrati di foresta che hanno lasciato il posto alle piantagioni di gomma.
Oltre alla perdita di biodiversità che va di pari passo col disboscamento, le monoculture di albero della gomma richiedono un enorme consumo d’acqua e hanno effetti dannosi sull’ambiente sia a causa dei trattamenti che vengono fatti per proteggere le piante dai parassiti, sia per i composti chimici utilizzati nel corso della lavorazione. In più, le varietà coltivate in queste aree sono tutte discendenti dagli esemplari brasiliani trasportati attraverso l’Inghilterra, e come i loro cugini sono sensibili alle infezioni fungine che impediscono la coltivazione in Sud America. Se il fungo dovesse raggiungere l’Asia il mercato della gomma potrebbe crollare e dimostrare come l’esplosione dell’utilizzo di questo materiale negli ultimi decenni non sia sostenibile.
Fonti e letture:
– Fotogalleria – Il boom della gomma, National Geographic Italia, 2016
– International Rubber Study Group
– Rubber, Explain that stuff, 2015
– FAOSTAT
– van Beilen JB, & Poirier Y. (2007) Establishment of new crops for the production of natural rubber. Trends in biotechnology, 25(11), 522-9.
– Oliver Sacks, Diario di Oaxaca, 2002
Immagini:
– Copertina: Rubber tapping in Malesia, CC BY-SA 3.0
– Profilattici – CC BY-SA 3.0, Pneumatico – CC0, Borsa dell’acqua calda – CC0, Stivali – CC0, Elastici – CC0, Guanto – CC0, Tavola botanica – CC0, Poliisoprene – CC0, Rubber tapping – CC BY-SA 3.0
Interessante ma non esaustivo.In particolare( da tecnico agricolo interessato al problema) la mancanza di indicazioni relative al Guayule (Parthenium argentatum) ed al Tarassaco (T.Officinale) indebolisce il quadro ben trattato dell’Hevea brasiliensis.