Un Fiore, una Mania e la Bolla dei Tulipani

Nel mezzo di quella che gli storici definiscono l’Età della Ragione, in una nazione solida, parsimoniosa e calvinista, a poca distanza da un Cartesio impegnato ad esaltare la razionalità e a scrivere i suoi Principia philosophiae per gettare le basi della matematica e della filosofia moderna, un’intera nazione è stata colta da una mania collettiva che l’ha quasi condotta al collasso economico: la tulipomania.

Questa storia ha inizio qualche centinaio di anni prima in Turchia, quando ancora i tulipani non comparivano in nessuna enciclopedia botanica europea. Gli Ottomani avevano imparato a conoscere questi fiori e ad ammirare la loro capacità di trasformarsi se affidati alle mani di esperti ibridatori. Già allora i tulipani erano coltivati unicamente per soddisfare il desiderio di bellezza di chi li osservava.

Per un tulipano nella Turchia del ‘500, il modo migliore per piacere al proprio pubblico e ottenere in cambio i servizi dei giardinieri che di anno in anno avrebbero recuperato e interrato i bulbi per garantirgli un’ampia discendenza, era quello di avere lunghissimi petali appuntiti, di colore preferibilmente rosso con una macchia scura alla base – un canone di bellezza diverso da quello che riconosciamo nei tulipani di oggi.

In epoche successive il sultano Ahmed III amò questi fiori al punto da curare giardini dedicati, dove i petali dei tulipani troppo aperti erano ricuciti a mano e le candele venivano regolate alla giusta altezza per valorizzare il colore dei fiori e attaccate al dorso di tartarughe che percorrevano lentamente i vialetti.

Tulipani turchi
Una varietà moderna che assomiglia a quelle antiche apprezzate dagli ottomani. I fiori con petali appuntiti sono spesso dipinti nei motivi floreali delle loro ceramiche tradizionali.

Si dice che i primi tulipani arrivarono in Europa con una spedizione del 1554 inviata dalla corte di Solimano il Magnifico a Costantinopoli dall’ambasciatore degli Asburgo Ogier Ghiselin de Busbecq. Tra i primi europei a entrare in contatto con i bulbi ci fu il botanico fiammingo Carolus Clusius che dopo essere stato direttore dell’orto botanico imperiale di Vienna si trasferì in Olanda, a Leiden, dove porto con sé alcuni esemplari. A lui si deve l’approccio scientifico ancora oggi utilizzato per la produzione di nuove varietà di tulipani, ma anche di gigli, giacinti, narcisi e iris. Pare però che Clusius fosse molto geloso dei suoi tulipani, così che, come spesso accade, tra i suoi concittadini crebbe molto velocemente il desiderio di possedere i suoi bulbi.

Semper augustus tulipano
Un acquerello del XVII secolo ritrae il preziosissimo tulipano Semper Augustus.

Forse complice la ricerca del bello e del colore in un paese tendenzialmente grigio e recentemente colpito da un’epidemia di peste, l’unicità di bulbi che “nessuno riusciva a procurarsi, neppure col denaro” divenuti status symbol ed esclusiva delle classe più abbienti, la febbre dei tulipani scoppiò con tutta la sua forza tra il 1634 e il 1637. Decine di nuove varietà comparirono sui mercati, il prezzo salì alle stelle e i bulbi si vendevano con mesi di anticipo sulla data della loro raccolta. Presto nacque un ricchissimo mercato di contratti di acquisto di bulbi ancora inesistenti, il windhandel – commercio del vento, che avveniva in taverne che non mancavano di trarre un profitto dalle transazioni che lì si svolgevano.

Per un tulipano di quel periodo il modo migliore per attirare l’attenzione e la brama degli olandesi era quello di sfoggiare grandi petali fiammati o pennati, ma soprattutto esibire una colorazione “spezzata”, variegata, ancora una volta lontana dai semplici e disciplinati tulipani dai colori puri che oggi possiamo comprare a buon mercato.

Il Semper Augustus è entrato nella storia per essere il tulipano più raro, più desiderato e più caro di sempre. Un solo bulbo di questa varietà poteva costare 3000 fiorini, che secondo un pamphlet dell’epoca sarebbero stati sufficienti per l’acquisto di: otto maiali grassi, quattro buoi grassi, dodici pecore grasse, ventiquattro tonnellate di grano, quarantotto tonnellate di segale, due botti di vino, quattro barili di birra, due tonnellate di burro, mille chili di formaggio, una coppa d’argento, un letto con materasso e biancheria da letto e una nave (tutto, non solo una cosa a scelta!).

Chi non se li poteva permettere ingaggiava un pittore per ritrarre i tulipani, così da rendere immortale una fioritura altrimenti destinata a durare poco più di una settimana. Questa attività ha dato da vivere a molti artisti dell’età d’oro della pittura olandese, tanto che i tulipani screziati in voga in quel periodo vengono oggi chiamati tulipani di Rembrandt.

Jan_Brueghel_the_Younger,_Satire_on_Tulip_Mania,_c._1640
Allegoria sulla Mania dei Tulipani, Jan Brueghel II, 1640 circa. Investitori, venditori e compratori di tulipani sono rappresentati come scimmie vestite con abiti olandesi tipici del XVII secolo. C’è chi consulta le liste dei tulipani rari, chi scambia e conta denaro, chi pesa i bulbi, chi partecipa a sontuose cene di affari e chi sigla contratti di vendita. I venditori frustrati si disperano, e i debitori vengono portati sul banco degli imputati. Un’opera satirica, che mette in ridicolo la follia di chi specula su una cosa tanto effimera; sulla destra qualcuno urina sui tulipani che appena sfioriti non hanno più alcun valore.

Si è presto notato che le ricercate trame di colore dei petali dei tulipani erano caratteri instabili e imprevedibili. Potevano scomparire nelle generazioni successive e i pattern colorati variavano di continuo. Per di più, per motivi all’epoca sconosciuti, i bulbi delle varietà più apprezzate diventavano più piccoli deboli di generazione in generazione, fino ad essere incapaci di fiorire. Per questo oggi non possiamo ammirare la bellezza di un Semper Augustus, e forse per questo, dopo quattro anni di euforia collettiva, gli olandesi sono rinsaviti e hanno accantonato la mania dei tulipani facendo crollare i prezzi e mandando in rovina gli speculatori.

Già all’epoca si aveva idea della natura “virale” della colorazione tipica dei tulipani di Rembrandt, ma si è dovuto attendere fino al 1930 per scoprire che la causa è proprio un virus, il Tulip Breaking Virus. L’infezione è trasmessa da diverse specie di afidi, e si è scoperto che può influenzare la distribuzione dei colori sui petali interferendo con la sintesi dei pigmenti all’interno delle cellule. Il risultato finale dipende dal numero e dalla posizione delle cellule infettate, ma anche dal momento dello sviluppo del fiore in cui avviene l’infezione. Da qui la grande variabilità nei colori, la debolezza degli esemplari infetti e l’impossibilità di trasmettere questi tratti in maniera ereditaria.

Tulipani striati

Oggi gli olandesi hanno imparato a lavorare con i tulipani senza lasciarsi travolgere dalla passione e sono diventati i più grandi esportatori di bulbi. Sanno anche generare tulipani screziati senza l’intervento del virus, così finalmente sono certi che, alla prossima fioritura, le pennellate di colore non mancheranno di farsi vedere.

La scorsa settimana sono stata nei giardini di Keukenhof, non lontano da Leiden, dove Clusius piantò i primi tulipani olandesi. È probabilmente il parco più famoso e più curato del mondo dove ammirare questi fiori e non ho potuto resistere alla tentazione di visitarlo nel mese di aprile, quando la fioritura è al suo apice. Oltre a me c’erano diverse migliaia di persone in piena estasi floreale: europei, giapponesi, indiani e americani. Posso garantire che la tulipomania non è stata debellata, anzi, ha allargato i suoi confini ed è ancora altamente contagiosa.

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Tulipani della varietà piumata Lambada, probabilmente discendenti di qualche antica varietà olandese.

Fonti e letture:ResearchBlogging.org
– J. Lesnaw & S. Ghabrial (2000). Tulip Breaking: Past, Present, and Future. Plant Disease, 84 (10), 1052-1060
– Michael Pollan (2001). La botanica del desiderio – Desiderio: bellezza, Pianta: tulipano (Tulipa)
– Mike Dash (2001). Tulipomania: the story of the world’s most coveted flower and the extraordinary passions it aroused
– M. Roossinck (2011). The good viruses: viral mutualistic symbioses. Nature Reviews Microbiology, 9(2), 99-108.

Immagini:
Semper Augustus – CC0,  Satire on Tulip Mania – CC0; copertina e altre immagini di Alice Breda

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