Cosa stappi? La storia di un tappo di sughero
Per molti di noi le festività natalizie non sono solo un’occasione per incontrare la famiglia e gli amici, ma possono diventare un’impegnativa maratona gastronomica lunga una settimana. Le feste dell’anno scorso scorso hanno visto gli italiani impegnati a tavola a divorare cento milioni di chili tra pandori e panettoni, ventimila tonnellate di pasta e 6.5 milioni di chili di cotechini e zamponi. Per accompagnare i banchetti e accogliere l’anno nuovo abbiamo anche fatto saltare cinquanta milioni di tappi di spumante, oltre a tutti quelli che abbiamo estratto col cavatappi dalle bottiglie di vini rossi e bianchi.
I tappi di sughero sono degli oggetti semplici che vantano una tradizione millenaria e una storia interessante. I primi riferimenti al sughero risalgono al terzo millennio a.C., quando in Egitto e in Persia veniva utilizzato nelle pesca per le sue proprietà di galleggiamento. Il suo uso in associazione alla conservazione del vino è invece documentato da anfore sigillate con tappi di sughero ritrovate a Efeso e Pompei, vecchie di circa duemila anni.
Il sughero è entrato nella storia anche in tempi più recenti grazie alle osservazioni dello scienziato britannico Robert Hook. Nel suo libro Micrographia descrive ciò che osserva con il suo pionieristico microscopio in un pezzettino di sughero e conia il termine più utilizzato della biologia moderna: cellula.
Vedo chiaramente che è tutto perforato e poroso, come un favo, ma con dei pori non regolari. Questi pori, o cellule, […] sono in effetti i primi pori microscopici che io abbia mai visto e che, probabilmente, siano mai stati visti.

Oggi sappiamo che le strutture che a Hook ricordavano delle celle monacali (nella sua lingua “cells”) sono il risultato di un processo biologico chiamato “morte cellulare programmata”. Infatti, quando la corteccia degli alberi matura, le cellule che la compongono muoiono e si svuotano del loro contenuto per lasciare solo le pareti cellulari costituite principalmente da cellulosa, suberina e cere. Questo strato di cellule morte ha la funzione di proteggere la pianta dagli agenti esterni ed è solo parzialmente permeabile all’acqua e ai gas.
Questo avviene in tutti gli alberi, ma nella quercia da sughero, non a caso chiamata Quercus suber, dà origine a un materiale particolarmente leggero, elastico e impermeabile, ideale a sigillare contenitori per liquidi. L’isolamento potrebbe però rappresentare un problema per la parte interna del fusto che, come tutti i tessuti metabolicamente attivi, ha bisogno di scambiare gas con l’aria circostante. Questo bisogno è soddisfatto dalla presenza di lenticelle, zone della corteccia in cui le cellule sono meno compatte per lasciare passare l’aria e che sono visibili nei tappi di sughero come striature scure.

La quercia da sughero, o sughera, è un albero che non sopravvive alle gelate invernali e per questo è coltivata solo nelle aree con clima mite lungo le coste del Mediterraneo occidentale e in Portogallo. Quest’ultimo produce più di centomila tonnellate di sughero all’anno, la metà dell’intera produzione globale, ed è seguito da Spagna, Marocco, Tunisia, Algeria e Italia, a cui è da attribuire circa il 3% della produzione mondiale.

Il processo di produzione dei tappi inizia quindi nelle foreste, dove le querce crescono per 15-20 anni prima di produrre il primo strato di sughero. Questo, chiamato sugherone, ha uno scarso valore commerciale perché è molto irregolare e spugnoso. Anche se le querce sono piante monoiche, cioè si trovano sia fiori maschili che femminili sulla stessa pianta, il sugherone viene chiamato sughero maschio, e si distingue dal sughero gentile o sughero femmina che viene prodotto successivamente. Infatti, dopo la rimozione del primo strato, le cellule che circondano il fusto si dividono rapidamente e ogni anno generano nuovi strati di sughero di maggiore qualità. Di solito si attendono almeno dieci anni tra una decorticazione e l’altra per raggiungere uno spessore adatto alla produzione dei tappi.

Dopo la raccolta, le tavole di sughero vengono stagionate e bollite per renderle più morbide ed elastiche, aumentarne lo spessore ed estrarne le sostanze idrosolubili. Ma la funzione più importante di questo passaggio, e la ragione per cui è spesso accompagnato da trattamenti chimici, è la pulizia e la rimozione dei microrganismi che potrebbero essere deleteri per la qualità e il sapore del vino. Sulle querce cresce infatti il fungo parassita Armillaria mellea. Se le spore non vengono completamente eliminate durante la lavorazione del sughero, il fungo può crescere nel tappo, e produrre una sostanza chiamata tricloroanisolo che è la causa del ‘sentore di tappo’ che colpisce tra l’1% e il 15% delle bottiglie di vino.

Dopo la pulizia, le tavole vengono pressate per ottenere una trama regolare e tagliate nella forma desiderata. I più pregiati tappi naturali consistono di un unico pezzo tagliato direttamente dalla tavola, ma questa lavorazione produce uno scarto di 70% della materia prima iniziale. Gli scarti vengono quindi frammentati in granina da compattare e incollare per produrre i più comuni tappi tecnici di sughero granulare agglomerato.
Forse la prossima volta che stapperete una bottiglia il tappo non vi sembrerà più un oggetto così banale!

Fonti:
– Raven P. et al., Biologia delle piante, sesta edizione
– APCOR
Copertina: Pixabay