Lattuga nello spazio
A chi non piace mangiare un’insalata fresca e rilassarsi con un po’ di giardinaggio ogni tanto? Gli astronauti non sono certo da meno.
Questa settimana, per la prima volta nella storia, degli esseri umani hanno potuto mangiare della verdura interamente cresciuta nello spazio. È successo sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) lunedì 10 agosto, quando i membri dell’equipaggio hanno potuto assaggiare la lattuga romana rossa di cui si sono presi cura nei 33 giorni precedenti. Questo traguardo di fondamentale importanza per il futuro delle missioni spaziali è stato raggiunto grazie al lavoro di biologi e ingegneri che per anni hanno lavorato all’esperimento della NASA Veg-01, per gli amici Veggie. La produzione di verdura fresca a bordo della Stazione Spaziale ha delle importanti conseguenze sul benessere degli astronauti impegnati in missioni di lunga durata. I vegetali sono una fonte di vitamine difficilmente sostituibile nello spazio, sono in grado di migliorare la qualità dell’aria e, perché no, rappresentano un passatempo rilassante per gli astronauti in un ambiente molto stressante come una stazione spaziale.
Le piante sono state coltivate nella camera di crescita Veggie su dei “cuscini”, sacchetti forati contenenti terreno e nutrienti. L’acqua è stata iniettata nel terreno, per evitarne la dispersione nella cabina in assenza di gravità, mentre delle luci LED rosse e blu hanno fornito alle piante l’energia necessaria per la fotosintesi.

L’obiettivo di più vasta portata di questo esperimento non è quello di fornire uno spuntino salutare agli astronauti, ma piuttosto mettere a punto un sistema di produzione efficiente e sicuro a supporto di lunghe missioni spaziali e di eventuali programmi di colonizzazione di pianeti extraterrestri. «Ci sono evidenze che dimostrano che vegetali freschi come pomodori, mirtilli e lattuga rossa sono una buona fonte di antiossidanti. La disponibilità di cibi freschi come questi nello spazio potrebbe avere impatti positivi sull’umore delle persone e potrebbe anche fornire protezione dalla radiazione spaziale» dice il Dr. Ray Wheeler, dell’Exploration Research and Technology Programs Office.

Veggie è uno strumento unico per studiare come le piante crescono nelle particolari condizioni della stazione spaziale e può portare a scoperte utili anche per l’agricoltura sulla terra. Non è la prima volta che le piante sono coltivate nello spazio; prima di dare il permesso agli astronauti di assaggiare la loro insalata, diversi campioni di lattuga cresciuti nel sistema Veggie sono stati inviati a terra per analizzarli e valutarne la sicurezza. Ma già negli anni ’70, con la nascita dell’astrobiologia, le piante sono andate nello spazio con le missioni Gemini e Apollo, principalmente con il ruolo di monitor biologici passivi sugli effetti della radiazione cosmica. L’astronauta Stu Roosa portò con se sull’Apollo 14 semi di diverse specie, e pare che quando li piantò al suo ritorno ne germinarono degli alberi all’apparenza normali, che presero il nome di “moon trees“.
L’aspetto più interessante da studiare nello spazio è sicuramente il modo in cui le piante percepiscono e rispondono alla gravità. Nel 1880, con il suo libro The Power of Movement in Plants, Darwin ci racconta della capacità delle piante di percepire questa forza. Da allora molti esperimenti sono stati fatti, ma le missioni spaziali costituiscono un’occasione unica per studiare questa proprietà delle piante e le conseguenze della gravità sul loro sviluppo. Buona parte di questi studi sono stati fatti su Arabidopsis thaliana, una piantina dall’aspetto piuttosto insignificante ma di enorme importanza per la ricerca. È un po’ la cavia da laboratorio del regno vegetale, e la maggior parte dei biologi che lavorano con le piante, inclusa la sottoscritta, la coltivano e la studiano quotidianamente.
Mentre l’insalata coltivata su Veggie è stata raccolta dopo un mese dalla semina, con Arabidopsis si è riusciti a concludere il ciclo vitale della pianta, da seme a seme, interamente a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, dimostrando così che le piante sono in grado di riprodursi anche in condizioni di microgravità. Non solo: i semi prodotti da queste prime piante sono stati fatti germogliare a loro volta nello spazio, e hanno dato origine ad una nuova generazione di Arabidopsis in salute. La particolarità delle piante spaziali, che non influisce sulla loro capacità di riprodursi, sta soprattutto nella posizione dei rami secondari e dei frutti. Sulla terra, spuntano dallo stelo principale e tendono verso l’alto, da dove normalmente proviene la luce. Nello spazio invece sono perpendicolari allo stelo. Lo studio delle piante nello spazio ha rivelato un meccanismo generale che ne regola lo sviluppo anche a terra: in assenza di peso i rami secondari e i frutti ignorano la posizione della sorgente luminosa, suggerendo che è la forza di gravità il fattore principale che ne controlla l’orientazione. I semi prodotti nello spazio non sono diversi da quelli terrestri se non per un minore contenuto in proteine (a causa di problemi di ossigenazione delle radici in assenza di peso), ma sono vitali e in salute. Arabidopsis è una specie che non ha alcun valore nell’alimentazione umana, ma il lavoro di questi ricercatori dimostra che è possibile propagare le piante nello spazio, di generazione in generazione, per un numero di volte potenzialmente infinito. Quando si riuscirà a fare lo stesso con piante commestibili, e la lattuga di Veggie rappresenta il primo passo in questa direzione, le missioni spaziali potranno diventare autosufficienti dal punto di vista alimentare. Questo, un giorno, aprirà le porte ad esplorazioni spaziali di lunga, lunghissima durata.
Bibliografia:
– Meals Ready to Eat: Expedition 44 Crew Members Sample Leafy Greens Grown on Space Station, NASA
– Link, B., Busse, J., & Stankovic, B. (2014). Seed-to-Seed-to-Seed Growth and Development of in Microgravity Astrobiology, 14 (10), 866-875 DOI: 10.1089/ast.2014.1184
– Paul, A., Wheeler, R., Levine, H., & Ferl, R. (2013). Fundamental Plant Biology Enabled by The Space Shuttle American Journal of Botany, 100 (1), 226-234 DOI: 10.3732/ajb.1200338
Foto:
NASA
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