Cos’è (considerato) OGM?

Il dibattito sugli organismi geneticamente modificati (OGM) si concentra sul rischio derivante dal loro utilizzo in agricoltura per l’ambiente e la salute umana. Stando alle regole della linguistica e della logica si potrebbe dire geneticamente modificato tutto ciò che possiede un patrimonio genetico diverso da quello delle varietà ‘naturali’ o ‘selvatiche’. Tuttavia, molte specie ampiamente coltivate a livello globale che sono il risultato della selezione artificiale o di incroci operati dall’uomo non vengono comunemente considerate OGM sebbene abbiano subito anche sostanziali modificazioni genetiche e genomiche.

In questo post, voglio riportare la definizione di OGM resa nota nella Direttiva 2001/18/CE del Parlamento Europeo del 12 marzo 2001. L’importanza della definizione che è stata data in questa sede è cruciale, poiché determina, in una modalità che può essere considerata piuttosto arbitraria, quali sono le varietà agricole che devono sottostare alla legislazione riguardante la coltivazione, la distribuzione e il consumo di OGM e quali invece non vengono sottoposte a tali restrizioni.

Secondo la Direttiva, per organismo geneticamente modificato si intende:

un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale.

Di seguito, specifica che sono considerati OGM gli organismi le cui modificazioni genetiche siano ottenute mediante l’impiego di:

1. tecniche di ricombinazione dell’acido nucleico che comportano la formazione di nuove combinazioni di materiale genetico mediante inserimento in un virus, un plasmide batterico o qualsiasi altro vettore, di molecole di acido nucleico prodotte con qualsiasi mezzo all’esterno di un organismo, nonché la loro incorporazione in un organismo ospite nel quale non compaiono per natura, ma nel quale possono replicarsi in maniera continua;
2. tecniche che comportano l’introduzione diretta in un organismo di materiale ereditabile preparato al suo esterno, tra cui la microiniezione, la macroiniezione e il microincapsulamento;
3. fusione cellulare (inclusa la fusione di protoplasti) o tecniche di ibridazione per la costruzione di cellule vive, che presentano nuove combinazioni di materiale genetico ereditabile, mediante la fusione di due o più cellule, utilizzando metodi non naturali.

Tuttavia, dopo averci presentato questa lista, la Direttiva stabilisce anche una serie di deroghe. Ad esempio, l’induzione della poliploidia e processi naturali come la coniugazione, la trasduzione e la trasformazione non sono considerate tecniche che hanno per effetto una modificazione genetica e pertanto gli organismi così generati (come la patata dolce del mio post precedente) non sono legalmente considerati OGM. Nell’Allegato IB dell’articolo 3 si specifica inoltre che gli organismi ottenuti tramite mutagenesi (indotta ad esempio da radioattività) non rientrano nel campo di validità di questa direttiva.
L’esistenza di queste deroghe ha quindi risparmiato migliaia di varietà tradizionalmente coltivate in Italia e in Europa (la maggior parte dei grani e frutta e verdura senza semi ad esempio) di essere bollate come OGM e di vederne limitato l’utilizzo.
È importante notare che le caratteristiche finali delle varietà coltivate (che, forse, sarebbero i fattori più importanti da valutare nel momento in cui si decide di mangiarle o coltivarle) non sono tenute in considerazione da questa legislazione, che definisce e suddivide gli organismi in classi unicamente sulla base delle modalità con cui sono stati ottenuti.

Foto di Alice Breda

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